Il Blog del Cattaneo è stato creato per favorire il confronto e il dibattito aperto.
I contributi qui ospitati, dei nostri studiosi e collaboratori, non riflettono in alcun modo le opinioni dell’Istituto, e vogliono essere uno stimolo alla discussione.
Cominciamo con un commento del Presidente, a caldo, sul risultato del referendum britannico.
La Br-exit una sorpresa? E’ la UE a dover cambiare
di Pier Giorgio Ardeni
Credo che sarebbe sbagliato considerare il risultato del referendum britannico una sorpresa.
Da molto tempo i sentimenti anti-europeisti tendono a prevalere nella pancia e nel cuore dei cittadini europei.
Paura e incertezza prevalgono quando di fronte alle turbolenze i governanti non sanno tracciare la rotta ed indicare soluzioni.
Dopo la crisi finanziaria del 2008, la UE ed i suoi governanti hanno reagito con cecità ed inerzia, assumendo posizioni che via via sono risultate sbagliate, continuando a balbettare che “la ricetta era quella giusta”, reiterando decisioni che hanno finito solo per aumentare lo iato tra governo e popolo che ha prodotto l’euro-scetticismo ora vincente.
Se è vero che il Regno Unito ha sempre fatto storia a sé, ed il suo ruolo nella UE è sempre stato “speciale”, è anche vero che quanto prodottosi in Gran Bretagna non è per niente diverso da quanto si sta già producendo negli altri paesi dell’Unione.
L’analisi ci dirà come si è articolato il voto per il Leave e come questo ha sconfitto il Remain, ma è chiaro che l’onda euro-scettica ha preso maggiormente terreno nel ventre molle della società che più negli ultimi anni si è sentita esposta e fragile e che più ha sentito di pagare il prezzo delle politiche portate avanti da Bruxelles. La mappa del voto britannico mette in luce come nelle periferie e nelle zone (ex) operaie e rurali il voto è stato visto come un NO alle politiche dell’Unione. Certo, in Scozia e Irlanda del Nord hanno prevalso le tendenze anti-centralistiche britanniche, premiando il Remain per dare un freno al centralismo londinese, ma è chiaro che il Leave ha pescato nei sentimenti anti-governativi delle classi medio-basse (gli adulti e anziani, soprattutto) che si sono viste minacciate dalle politiche europee (e da quanto da queste rappresentato).
Ma non era già venuto un segnale dalle elezioni europee del 2014? L’ostinazione con la quale la UE, dopo la crisi del 2008, ha portato avanti la ricetta del consolidamento fiscale, chiamato anche austerity, ha solo favorito lo scollamento anti-europeista. Per fasce di popolazione che negli anni hanno visto lo smantellamento progressivo dello stato sociale – un tempo gioiello del “modello europeo” – unitosi alla balbettante e miope politica dell’immigrazione – che senza dare risposte al dramma umanitario ha scaricato gli oneri dell’integrazione sulla società lasciata alla briglia sciolta del liberismo succube di globalizzazione e mercati finanziari – l’Unione Europea ha finito per diventare simbolo e segno di qualcosa che non va più e di cui bisogna liberarsi.
Invece di politiche espansive, in una fase di calo dei consumi e della domanda e di inaridimento del risparmio delle famiglie vittime di mercati finanziari stressati, l’Unione si è ostinata nelle politiche che altrove, in molti, decidevano di abbandonare. Cosa aspettarsi dunque?
Il problema che abbiamo di fronte è che i governanti sulla scena oggi mostrano orizzonti ristretti e mancanza di visione. Un classe politica cresciuta senza “ideali” né visione è andata al potere negli ultimi lustri sull’onda alta della “new economy” e della globalizzazione, rottamando qua e là “statalismo”, “tradizione” e “consociativismo”, sposando il mantra del libero mercato e della caduta delle frontiere e delle ideologie. Le frontiere sono cadute per i capitali, le delocalizzazioni e le deindustrializzazioni hanno marciato, per poi ritrovarci le masse dei disoccupati, dei precari e precarizzati, degli esodati, degli adulti e anziani demotivati ed espulsi, dei derelitti, diseredati e spossessati, rifugiati in fuga dai dissesti provocati dalle guerre nelle quali l’Europa (e la stessa UK) non erano stati certo indifferenti spettatori. Il corpo dei funzionari, consulenti e “tecnici” della UE ha finito per guidare politici di piccoli calibro nell’adozione di ricette astratte, smentite altrove e dai fatti, mandandoli avanti a reggere una parte che da attori di secondo rango non hanno saputo interpretare.
Se oggi i Mitterand, i Kohl e persino i Delors ci sembrano giganti che avevano avuto visione è perché i modesti leader odierni sono assurti a ruoli che hanno potuto occupare per la latitanza del pensiero e della proposta. Il pensiero unico ha prodotto questi guasti. Le sinistre hanno perso l’orizzonte riformista welfarista di un tempo, schiacciate sul mercato, le destre quello compassionevole e competitivo, dimenticandosi della mobilità sociale, schiacciate sul libero mercato falsamente meritocratico.
Se oggi guardiamo sbigottiti al See EU later dicendoci che, in fondo, saranno loro (i britannici) a pagare, soprattutto, domani potremo trovarci di fronte all’addio collettivo, per aver lasciato un progetto politico in mano ai contabili poco istruiti e ancor meno saggi che hanno guidato i nostri piccoli leader della democrazia personalizzata e lontana dagli ideali e dai bisogni delle classi popolari e medie, attenti più alle esigenze dei “top incomes” e dei mercati finanziari che non a quelle delle classi polarizzate dalle diseguaglianze crescenti. Che la UE cambi passo, ora, prima che sia troppo tardi. Senza lamentarci dei populismi cui bisognerebbe rispondere con più “riforme”: e se ci fosse bisogno di un’Unione più vicina alle classi popolari e medie?
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Pier Giorgio Ardeni
Professor of Political Economy and Development Economics
Department of Economics – University of Bologna
Strada Maggiore 45 – 40125 Bologna Italy
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Presidente della Fondazione di ricerca Istituto Carlo Cattaneo