Giovedì 21 dicembre in Catalogna si eleggerà il parlamento della Comunità autonoma, dopo che la precedente legislatura, inaugurata nel settembre 2015, è stata interrotta con decisione unilaterale del governo spagnolo di Mariano Rajoy. Il conflitto fra Madrid e Barcellona, che ha origini remote, aveva raggiunto un punto di non ritorno il 1 ottobre, con la celebrazione del referendum sull’indipendenza della Catalogna, dichiarato illegale dal governo e svoltosi ugualmente in un clima di tensione. Quella circostanza aveva indotto Rajoy a ricorrere all’articolo 155 della Costituzione, che gli conferisce il potere di intervenire direttamente nella politica regionale, qualora una Comunità autonoma «non adempia agli obblighi impostile dalla Costituzione o da altre leggi, o agisca in modo da attentare
gravemente all’interesse della Spagna». È stato un evento senza precedenti nella politica della Spagna democratica, che ha reso le elezioni del 21 dicembre particolarmente importanti, anche se difficilmente risolutive.
Proviamo allora a far luce sul contesto di queste elezioni, sbrogliando la complicata matassa della politica catalana e delle relazioni fra Catalogna e Spagna in vista del voto. Lo facciamo cercando di rispondere a cinque domande distinte, benché collegate fra loro:
1. Quanta autonomia ha la Catalogna?
2. Quando nasce e si diffonde l’idea indipendentista nell’opinione pubblica catalana?
3. Quali partiti si presentano all’appuntamento elettorale e come si posizionano nello spazio politico?
4. Quale impatto avrà la partecipazione elettorale sull’esito del voto?
5. Chi formerà il prossimo governo?