Il vo(l)to politico delle periferie nel 2018: la frattura orizzontale che divide le città italiane

di Marco Valbruzzi

Il voto del 4 marzo ha dimostrato l’esistenza di un paese elettoralmente e politicamente “duale”, spezzato a metà nel comportamento di voto tra Nord e Sud. Una divisione «storica», che ha tagliato verticalmente le regioni italiane, assegnandone una parte al centrodestra e un’altra al M5s (con pochi resti, sempre più ristretti, per i terzi). Ma dal voto del 2018 è emersa anche una nuova separazione orizzontale all’interno dei territori, delle città e delle diverse zone d’Italia. Una linea di demarcazione che ha messo in risalto le differenze nelle preferenze elettorali tra gli abitanti delle metropoli e quelli dei comuni di piccole o medie dimensioni, tra coloro che vivono nei quartieri centrali e chi invece risiede nei contesti più marginali o periferici. Una differenza – sulla quale è stata già posta in passato l’attenzione – è quella esistente tra il voto nelle grandi città e il voto dei territori più isolati, le cosiddette aree interne cioè quelle province o valli distanti dai grandi centri urbani dove si rafforza la presenza del centrodestra (in particolar modo della Lega) e, solo in alcune aree geografiche, del M5s.

Certo, possiamo notare il riemergere di antiche fratture territoriali, come quella che contrappone gli interessi urbani e cittadini a quelli rurali e di campagna (e montagna), prodotta dall’indebolimento o restringimento – a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni – di molte funzioni dello Stato nazionale, dalla sua perdita di centralità culturale, politica, sociale e anche economica. Fin qui però, nulla di nuovo, sebbene i risvolti di queste trasformazioni possano avere, e abbiano avuto, un impatto diretto sul comportamento elettorale dei cittadini, non soltanto in Italia.

L’elemento di novità che sta emergendo da qualche anno a questa parte è che la divisione tra aree «centrali» e aree, in senso lato, «periferiche» si è spinta fin dentro le singole città, individuando anche al loro interno nuovi «centri» e nuove «periferie» caratterizzate da elementi sociali, comportamenti politici e preferenze elettorali sempre meno omogenee.

Fig. 1. Voto a Pd, M5s, FI, Lega nelle elezioni politiche del 2018 in 15 città italiane e nelle rispettive «aree di disagio sociale», per zona geo-politica (valori {392d0e468fe580ea6caf5ac377d3684124b7dabe7737b05c32233f76f078e26f})
Fonte: Elaborazione Istituto Cattaneo su dati degli uffici elettorali dei comuni analizzati. Nota: Nella figura non sono riportate le percentuali di voto ottenute dai partiti minori o «altri».

Per analizzare più da vicino tale aspetto, ci siamo concentrati sulla distribuzione del voto in un campione di 15 città italiane, all’interno delle quali abbiamo selezionato alcune sezioni elettorali appartenenti a aree contrassegnate da fenomeni di disagio sociale, marginalizzazione economica o degrado urbano[i]. Si tratta, cioè, di sezioni collocate in quelle che possono essere definite «periferie», ma che non necessariamente si trovano distanti dal centro della città. Anzi, talvolta coincidono proprio con alcuni quartieri centrali che si trovano ad essere maggiormente esposti a situazioni di disagio o «marginalità».

Ciò detto, la figura 1 ci consente di confrontare il voto alle principali forze politiche nelle aree di disagio sociale (o, per brevità, aree disagiate) con quello ottenuto a livello dell’intero comune. Come risulta chiaramente, nelle elezioni del 2018 ci sono stati partiti che hanno ottenuto risultati migliori nei contesti socialmente più problematici delle città e altri che hanno invece fatto registrare la tendenza opposta. Ad esempio, il Pd ha raccolto sistematicamente una percentuale di voti superiore nelle aree non disagiate, dove risiedono di solito le élite «riflessive» urbane o i ceti sociali economicamente più benestanti. Questo è vero soprattutto nelle città del Centro-sud, dove la differenza di voti al Pd tra il livello comunale e quello delle aree marginali è di circa 7 punti percentuali.

All’opposto, sia M5s che Lega ottengono risultati nettamente superiori al dato generale dei comuni proprio nelle aree socialmente più disagiate. Per la Lega questo trend vale soprattutto nelle città del Nord, dove lo scarto nei risultati tra aree del disagio sociale e intero livello comunale è di 3,5 punti. Al Centro-sud è, invece, il M5s che si avvantaggia di una sovra-rappresentazione (di quasi 7 punti percentuali) nei territori di «periferia».

Fig. 2. Voto al M5s, al Pd, a Forza Italia, Lega nelle elezioni politiche del 2018 in 15 città italiane e nelle rispettive «aree di disagio sociale», (valori {392d0e468fe580ea6caf5ac377d3684124b7dabe7737b05c32233f76f078e26f})
Fonte: Elaborazione Istituto Cattaneo su dati degli uffici elettorali dei comuni analizzati.

Il voto del 4 marzo ha quindi messo in risalto l’esistenza anche di una divisione interna alle città italiane, che le ha attraversate orizzontalmente, separando coloro che vivono o si sentono al «centro» da chi si trova o si percepisce in una situazione di relativa marginalità (vedi Fig. 2). Se confrontata con i dati delle precedenti consultazioni elettorali, questa demarcazione si è fatta ancora più netta con le elezioni del 2018.

Infatti, osservando i dati della tabella 1 dove sono riportati i risultati ottenuti dai principali partiti nel 2013 e nell’ultima tornata elettorale, si può notare come la crescita dei partiti definiti comunemente «populisti» derivi proprio dalle loro prestazioni nelle aree più disagiate delle città qui esaminate. Se nel Centro-sud il voto al M5s è aumentato di 14,3 punti percentuali a livello comunale, la sua crescita elettorale nelle sole aree disagiate è di 19 punti. E un trend simile si registra, seppure in modo un po’ meno marcato, anche per la Lega nelle città del Nord. Al contrario, sempre rispetto al 2013 il Pd perde molto di più nelle aree caratterizzate da maggiore marginalità sociale.

Tab. 1. Percentuale di voti a Pd, M5s, FI/Pdl, Lega nel 2013 e nel 2018 in 15 città italiane e nelle rispettive «aree di disagio sociale», per zona geo-politica (valori {392d0e468fe580ea6caf5ac377d3684124b7dabe7737b05c32233f76f078e26f})
Dunque, le elezioni del 2018 hanno visto rafforzarsi non soltanto la frattura tra città e campagna, ma anche quella – meno studiata – intra-urbana che «taglia» orizzontalmente le singole realtà cittadine e separa gli interessi, le priorità o le preferenze degli abitanti dei quartieri centrali da quelli delle aree socialmente più svantaggiate. Com’è ovvio, queste divisioni geografiche e sociali che scorrono in lungo e in largo per il territorio italiano non escludono quelle accennate all’inizio, a cominciare da quella storica tra Nord e Sud del paese. Semplicemente, queste fratture si cumulano e solo in parte si sovrappongono. E questo spiega perché la fotografia di un’Italia (soltanto) bipolare, dove alla «questione settentrionale» si contrappone un’eguale e contraria «questione meridionale» è un’immagine riduttiva della ben più complessa «questione italiana».

In realtà, le elezioni del 2018 hanno mostrato l’esistenza di un’Italia «fratturata», percorsa da molteplici linee di divisione che non sembrano trovare, ad oggi, né strumenti né modalità di ricomposizione. Questa «nuova» Italia ha anche ridisegnato completamente la geografia elettorale alla quale eravamo abituati nel nostro paese. In passato e almeno fino alla fine degli anni novanta, le «mappe» del voto erano il riflesso di una precisa «geografia politica». Più precisamente, era la «politica» – intesa come la forza organizzativa dei partiti sul territorio – a connotare e «colorare» il comportamento elettorale degli italiani. La «zona rossa», solo per prendere l’esempio di maggiore successo, era il prodotto di un lungo e laborioso processo di costruzione organizzativa coordinato dalle principali forze politiche di centrosinistra.

Oggi, al contrario, non è più la politica che «colora» la società nella sua espressione elettorale, ma è la società – con le sue trasformazioni più o meno radicali – a prendersi la rivincita su partiti senza più alcun radicamento organizzativo sul territorio. Ed è questa nuova «geografia sociale» il terreno sul quale si giocherà nei prossimi anni il confronto tra i partiti e il loro eventuale successo o insuccesso.

[i] Per ogni comune selezionato (Ancona, Bari, Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Padova, Perugia, Reggio Emilia, Roma, Salerno, Torino) sono state scelte quattro sezioni elettorali in due aree cittadine considerate socialmente disagiate o degradate.

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